PREVISIONI 2024

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Marco Falsarella

Il 2023 è stata una sorpresa per molti analisti. In pochi, se non nessuno, si aspettavano un recupero dei principali indici azionari sui livelli massimi registrati a fine 2021/inizio 2022.

L’S&P 500 in quel periodo toccava i 4.818 $, il Nasdaq 100 i 16.644 $, il DAX i 16.250 €, mentre il FTSE MIB i 28.212 €.

Al termine del 2023 la situazione è la seguente:

  • S&P 500 -> 4.775 $ (-0,89%)
  • Nasdaq 100 -> 16.848 $ (+1,22%)
  • DAX -> 16.930 € (+4,18%)
  • FTSE MIB -> 30.481 € (+8,04%)

Negli ultimi due anni, dunque, sono state appianate tutte le perdite, con addirittura il Nasdaq 100 e il DAX sui massimi storici. Mentre gli altri indici principali europei tra cui IBEX 35, CAC 40 e FTSE MIB, nonostante abbiano tutti recuperato anch’essi il drawdown degli ultimi due anni, a differenza del DAX non si sono ancora riportati sui livelli pre crisi sub-prime del 2008.

Ma cosa ci dicono oggi i dati a livello macroeconomico?

Se osserviamo i principali indicatori che monitorano i livelli di produzione del settore manifatturiero, in particolare il PMI (Purchasing Managers Index), notiamo, per esempio negli Stati Uniti, che da ottobre 2021 l’indice ha intrapreso una discesa graduale, portandosi sotto il livello soglia di 50 da settembre 2022, indicando in definitiva una contrazione sul lato dell’offerta in relazione ad un calo di nuovi ordini, innescata probabilmente da una sovrapproduzione nel 2021 con la ripresa post Covid, che ha aumentato le scorte di magazzino di molte attività produttive.

Dall’altra parte, però, i consumi sono continuati a crescere, almeno da quanto si evince dagli ultimi dati riportati nel terzo trimestre 2023. A settembre i consumi nell’economia americana registravano un nuovo record pari a 15.461,28 miliardi di dollari (+10% rispetto ai livelli di fine 2019).

Lo stesso dato nell’area Euro, invece, vede i consumi in leggera crescita (+0,41% rispetto ai livelli pre-Covid).

Allo stesso modo, i dati sulla disoccupazione, sempre negli Stati Uniti, sono attorno ai minimi storici (3,70%), denotando un mercato del lavoro ancora molto dinamico e forte. Da questo lato, nonostante ci siano stati negli ultimi anni molti licenziamenti soprattutto da parte delle Big Tech, i dati sull’occupazione sono comunque rimasti alti.

Ciò spiega come mai i consumi non ne abbiano risentito poi così tanto, assieme al fatto che la paga oraria sia cresciuta mediamente del 5,30% annuo, da gennaio 2020.

Nell’area Euro il dato aggregato è anch’esso sui minimi storici, al 6,40%. Mentre la paga media è aumentata su base annua del 3,50% negli ultimi quattro anni.

Esportazioni e importazioni

Le esportazioni negli Stati Uniti sono sui massimi storici, con il dato di ottobre 2023 a 258,8 miliardi di dollari, in leggero calo rispetto a quello di settembre (-2,6 miliardi $). Le importazioni invece sono ammontate a 323 miliardi di dollari, in aumento di 489 milioni rispetto a settembre (seppure ancora in contrazione del 7,23% rispetto ai massimi registrati a marzo 2022).

Nell’area Euro le esportazioni si attestano a 246,9 miliardi di euro ad ottobre 2023, in calo del 2,4% rispetto al mese precedente. Le importazioni sono in diminuzione da settembre 2022, passando dai 297 miliardi ai 235,8 miliardi (un calo di circa il 20%).

Le bilance commerciali rimangono negative negli Stati Uniti e positive nell’Eurozona.

Inflazione

L’aumento repentino del costo della vita è iniziato attorno a maggio 2020, con la ripresa dei consumi. Negli Stati Uniti con 100$ era possibile acquistare quello che ad ottobre 2023 era possibile acquistare con 120$. Un aumento del 20% nel giro di poco più di 3 anni e mezzo. La crescita dei prezzi su base annuale, nel periodo preso in considerazione, è stata attorno al 5,15%.

Cosa possiamo aspettarci dal 2024?

Fare previsioni è sempre un compito molto arduo, soprattutto quando, oltre a monitorare i suddetti indicatori, bisogna avere chiara la situazione a livello geopolitico poiché le guerre ad oggi in corso in Ucraina e in Medio Oriente pongono pressioni sia per quanto riguarda gli scambi di materie prime, che chiaramente vanno ad influenzare a cascata l’economia a livello globale, sia gli scambi commerciali che potrebbero subire pressioni nel caso in cui venissero applicati eventuali embarghi oppure essere interrotti e causare ritardi nelle consegne che a loro volta potrebbero innescare rallentamenti nella produzione ed avere ripercussioni sul lato dell’offerta facendo schizzare i prezzi al rialzo su beni di consumo primari o discrezionali.

Di fatto la situazione attuale pone delle minacce concrete sul tema inflazione, soprattutto se consideriamo che l’OPEC+, in aggiunta, sta continuando con il suo programma di tagli volontari alla produzione di greggio per un totale di 2,2 milioni di barili al giorno, volti a sostenere la stabilità e l’equilibrio dei mercati petroliferi. Questi tagli volontari – spiega una nota – sono calcolati a partire dal livello di produzione richiesto per il 2024 e si aggiungono ai tagli volontari precedentemente annunciati nell’aprile 2023 e successivamente prorogati fino alla fine del 2024.

Gli ulteriori tagli volontari sono annunciati dai seguenti paesi OPEC+: Arabia Saudita (1 milione barili al giorno); Iraq (223mila barili al giorno); Emirati Arabi Uniti (163mila barili al giorno); Kuwait (135mila barili al giorno); Kazakistan (82mila barili al giorno); Algeria (51mila barili al giorno); Oman (42mila barili al giorno) a partire dal 1° gennaio fino alla fine di marzo 2024. Successivamente, per sostenere la stabilità del mercato, questi tagli volontari verranno ritirati gradualmente in base alle condizioni di mercato.

In generale le fonti energetiche, al di là del petrolio, sono previste in rialzo per il 2024.

Il resto delle commodities tra cui metalli e materiali per l’industria e la costruzione e beni agricoli primari, sono rivisti al ribasso, fatta eccezione per oro, rame, ferro, alluminio, latta, alcuni metalli rari (in particolare alcuni di quelli utilizzati nella produzione di tecnologie rinnovabili), legname, salmone, carne, cacao, zucchero, caffè e tè. 

Debito e politica monetaria

Considerando poi i livelli di debito a cui sono esposte le principali economie mondiali e le difficoltà nel sostenerlo (il tanto amato QE ha soltanto ingigantito lo schema ponzi legalizzato a cui ogni governo fa’ fede e alimenta grazie all’immissione continua e forsennata di liquidità nel sistema), non sembra esserci una via di scampo concreta se non quella di creare nuovo debito, cancellando qualsiasi possibilità di riduzione del bilancio delle banche centrali (QT), o in alternativa quella di attirare nuovi obbligazionisti alzando i tassi d’interesse o mantenendoli alti più a lungo. Quest’ultima ipotesi peserebbe maggiormente sui bilanci societari, o perlomeno su quelli che necessitano di finanziamenti consistenti per mantenere attiva la gestione operativa.

La politica monetaria ha svolto e sta svolgendo un ruolo fondamentale per contenere l’inflazione. Dall’altra parte ci vuole altresì una politica fiscale allineata agli obiettivi di politica monetaria per ovviare a potenziali spirali inflazionistiche. Queste ultime potrebbero essere inoltre generate da un continuo innalzamento dei salari (con riferimento specialmente alle soluzioni adottate negli Stati Uniti negli ultimi anni).

Le previsioni sui tagli dei tassi sono previste al momento nell’ultimo trimestre dell’anno, per quanto riguarda la FED, mentre la BCE non si è ancora espressa al riguardo.

Se la FED si aspetta di abbassare i tassi verso fine anno, potrebbe voler sottintendere che si aspetta una contrazione più marcata nell’economia reale tale da giustificare un taglio, per appunto incentivare la crescita ed agevolare l’accesso al credito (presupponendo allo stesso tempo che voglia trascurare totalmente il QT).

Se il rischio da una parte, per quanto riguarda i paesi sviluppati, è quello di entrare in una situazione di stagflazione, anticipata inizialmente da una crescita rallentata e poi laterale che a sua volta porterà, con il passare del tempo, ad un aumento della disoccupazione in un contesto di inflazione cronica (ben al di sopra del 2% target). Dall’altra il potenziale vincitore nel medio-lungo periodo potrebbe essere il gruppo BRICs e il rafforzamento di diversi paesi emergenti.

Conclusione

I mercati azionari ai livelli attuali sono prevalentemente sopravvalutati ed un più consistente calo dei consumi darebbe il via sicuramente ad una correzione importante. Oggi dunque il trade off si sposta maggiormente sul comparto obbligazionario, più allettante in termini di rischio/rendimento, seppur il rischio implicito potrebbe essere in qualche modo sottovalutato rispetto al suo valore reale (i livelli ai minimi storici dei Credit Default Swaps sono a mio avviso fuorvianti rispetto all’attuale scenario).

La Cina, dopo aver subito il collasso del settore immobiliare con il caso Evergrande, ha subìto una forte decelerazione e si trova attualmente in una situazione di deflazione, con la domanda aggregata che fatica a riprendersi, dei tassi d’interesse che si aggirano attorno al 3,45% ed un tasso di disoccupazione sui minimi (5%) in relazione agli ultimi cinque anni. Nonostante ciò, e nonostante il governo cinese abbia comunque una grossa fetta di debito privato, il rapporto tra debito a livello governativo e PIL risulta attorno all’80% (contro Stati Uniti al 129% e l’area Euro al 91%).

La correzione subita dall’azionario cinese negli ultimi due anni ha abbassato notevolmente i multipli di mercato di molte società, per cui oggi si trovano molte opportunità interessanti a prezzi al di sotto del fair value.

In un contesto di mercato come quello attuale è rivisto al rialzo nel corso dell’anno anche il valore di alcuni dei principali beni rifugio, in particolare l’oro. Quest’ultimo potrebbe dapprima subire ancora qualche pressione al ribasso per poi riprendere forza nei mesi a seguire.

Allo stesso tempo un’altra asset class in grado di poter generare rendimenti interessanti quest’anno è Bitcoin e i principali protocolli presenti nel mondo crypto. Ad aprile di quest’anno è previsto l’halving di Bitcoin e, vista la domanda tuttora elevata, potrebbe fungere da catalizzatore per una nuova bull run.

Volendo rimanere esposti sul mercato azionario, le opportunità più interessanti si celano, a mio avviso, in quei settori di mercato che hanno visto un tracollo molto marcato nel corso degli ultimi anni, come il settore dei pagamenti digitali, oppure esponendosi in quei segmenti di mercato ad alto contenuto tecnologico e in quei settori o Megatrend come ad esempio la Space Economy, la Blockchain, le energie rinnovabili (idrogeno, eolico ed elettrico), Data Center e infrastrutture digitali, ed infine anche i metalli rari.

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