Il ruolo del petroyuan nel rafforzamento dell’asse Cina/Arabia Saudita

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Marco Falsarella

L’inizio delle relazioni commerciali tra Cina e Arabia Saudita segna un capitolo significativo nella storia delle relazioni internazionali tra Asia e Medio Oriente. Entrambi i paesi, caratterizzati da storie millenarie e ricche tradizioni culturali, hanno visto nei rapporti economici e commerciali una via per rafforzare la propria influenza economica e politica a livello globale.

Le relazioni commerciali tra Cina e Arabia Saudita risalgono dalle epoche passate, durante l’era delle antiche rotte commerciali come la Via della Seta. La Cina, con la sua antica civiltà e capacità produttiva, e l’Arabia Saudita, situata in una posizione strategica che collegava l’Asia, l’Africa e l’Europa, sono state storicamente legate da scambi di beni e culture. Nel XX secolo, tuttavia, i rapporti tra i due paesi si raffreddarono a causa delle dinamiche geopolitiche globali, specialmente durante la Guerra Fredda. L’Arabia Saudita, con i suoi legami stretti con gli Stati Uniti e altri paesi occidentali, e la Cina, allora sotto il regime comunista di Mao Zedong, si trovarono su fronti opposti della scena politica mondiale.

La svolta nelle relazioni cino-saudite avvenne negli anni ’90, quando la Cina iniziò ad aprire la sua economia al mercato globale e l’Arabia Saudita cercò di diversificare i suoi partner commerciali oltre agli Stati Uniti e ai paesi europei. Il 1990 segnò un punto di svolta quando Cina e Arabia Saudita stabilirono ufficialmente relazioni diplomatiche, aprendo la strada a una nuova era di cooperazione economica e commerciale.

Da allora, il commercio tra i due paesi ha visto una crescita esponenziale. La Cina, con la sua rapida industrializzazione e il crescente fabbisogno di energia, ha visto nell’Arabia Saudita, il più grande esportatore di petrolio del mondo, un partner naturale. Allo stesso tempo, l’Arabia Saudita ha riconosciuto l’opportunità di diversificare la sua economia, attratta dalle capacità manifatturiere e tecnologiche della Cina.

Ai giorni nostri, come si evince dall’immagine sottostante, riferito ai dati 2022, il gigante asiatico rappresenta il primo paese in cui l’Arabia Saudita esporta, con un volume d’affari di 68 miliardi di dollari, pari al 18.8%, a cui segue l’india (12.8%) e il Giappone (10.1%).

Fonte: The Observatory of Economic Complexity (OEC)

Infatti, l’Arabia Saudita è diventata il portabandiera del trend commerciale della Cina con la regione arabica, in cui il commercio è più che triplicato nel periodo 2009-2023.

L’inizio del commercio di petrolio tra i due paesi basato sullo yuan risale con la prima visita del presidente Xi nel gennaio 2016, concretizzatosi nel 2018 con lo Shanghai International Energy Exchange e i primi contratti future. 

La maggior parte degli esportatori di petrolio che intrattengono rapporti commerciali con la Cina evidenziano saldi positivi maggiori se effettuati in yuan, ma incorrerebbero nel rischio di cambio dato che le valute degli esportatori del Golfo sono agganciate al dollaro statunitense, il quale negli ultimi anni si è rafforzato nei confronti del renminbi.

Fonte: Tradingview

Quindi, perché il renminbi, o meglio il petroyuan, potrebbe diventare il cardine fondamentale nel rafforzamento dei rapporti commerciali tra Cina e Arabia Saudita (amplificabile a tutti i paesi del Golfo)?

Le motivazioni sono differenti, ma tutte esulano l’aspetto puramente economico approdando su temi di tipo strategico.

Nell’agosto del 2023, durante il vertice dei BRICS alcuni membri fondatori hanno evidenziato la volontà di aumentare le transazioni commerciali in valuta locale tra i paesi membri; mentre, alcuni stati del Golfo, tra cui l’Arabia Saudita, stanno esplorando modi di condurre rapporti ancorati a valute diverse dal dollaro, al fine di ampliare la loro diplomazia economica e influenza.

Ulteriore fonte a supporto del rafforzamento dell’utilizzo dello yuan vede l’apertura dell’Arabia Saudita (insieme ad Iran, Etiopia, Egitto, Argentina ed Emirati Arabi Uniti) a fare parte dei BRICS, invito non ancora formalizzato, ma che potrà ampliare i rapporti grazie anche alla nuova filiale della Bank of China a Riyadh, capitale saudita.

La volontà da parte dell’Arabia Saudita di incrementare la vendita di petrolio in valuta cinese ad oggi non si è ancora riscontrata; d’altronde la visione è di lungo termine e richiede tempo affinché venga attuata.

Gli ultimi resoconti evidenziano un atteggiamento cauto del Tesoro saudita di vedersi inondato di renminbi per una quantità maggiore rispetto a quanto ne potrebbe spendere, considerando che ciò aumenterebbe i rischi (di cambio) e l’obbligo di spenderli in beni e servizi cinesi.

Dalla parte opposta, invece, si presenta l’opportunità di investire i flussi di yuan in progetti legati ad opere infrastrutturali grazie anche ai rapporti già instaurati con le aziende statali China State Construction e Metallurgical Corporation of China. Per esempio la costruzione di tutte le opere necessarie per i Giochi asiatici invernali del 2029, l’Expo del 2030 e la Coppa del mondo FIFA del 2034.

In aggiunta, al fine di raccogliere i frutti della Vision 2030 (il piano governativo saudita lanciato nel 2016 finalizzato a trasformare il Paese attraverso una diversificazione dell’economia rendendola maggiormente indipendente dal settore petrolifero), i petroyuan potrebbero essere investiti a beneficio dei settori industriali e delle energie rinnovabili. 

Già alcune partnership sono nate e individuabili nelle joint venture tra Baoshan Iron and Steel (50%), PIF (fondo di investimento pubblico saudita) (25%) e Aramco (25%) per la realizzazione di un impianto situato in Arabia Saudita a basso impatto ambientale che produrrà lamiere d’acciaio.

Ulteriore punto a favore, i flussi di petroyuan ottenuti dall’Arabia Saudita posso essere indirizzati nuovamente nell’economia cinese attraverso investimenti in aziende e/o l’aumento del downstream di Aramco in Cina.

In conclusione, l’utilizzo dello yuan nel commercio petrolifero e l’asse cino-saudita, sebbene già avviato, rappresenta un progetto di lungo termine che, salvo variazioni, rafforzerà l’equilibrio strategico regionale e mondiale.

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